WOMAN's JOURNAL

A testa in giù

Era forse davvero arrivato quel momento?

Valentina era seduta sul pavimento di quella casa ancora spoglia ma già piena di lei..

Non aveva portato nulla con sé: una scatola con qualche vestito, delle scarpe, una borsa piena di fogli. Davanti a lei un portafotografie.. Sua sorella in abito da sposa la stava osservando dal bianco e nero della sua immagine. La guardava dritto negli occhi e le diceva “Non ti preoccupare, ci sono io con te, vedrai che presto passerà tutto, è solo un momento, una fase”.

Si stende a terra e guarda il soffitto. La luce a risparmio energetico si stava lentamente scaldando, disperdendo un velo giallastro per la stanza.

Valentina aveva deciso di prendere in mano la situazione e con questa anche la sua vita. Era giunto il momento di essere sinceri una volta per tutte con gli altri e, soprattutto, con se stessa. Aveva lasciato Marco.

Non c’era stato un vero e proprio addio, solo uno sguardo, poche parole, un abbraccio e poi lei aveva attraversato la strada. Quando si era girata lui era già sparito. Non era rimasto ad osservarla da lontano, non la stava più controllando. M. si era dissolto tra la gente. E lei, in quell’istante, pur non vedendolo, si era sentita sollevata.

Non provava dolore, rimorso o paura. L’avevano avvisata che sarebbe stata dura abituarsi. Perché si sa: rimanere soli è sempre un’incognita.

“Guarda che non è facile trovare una persona così disponibile, così brava… Farai fatica. Io ho paura che un giorno tu te ne pentirai” le diceva suo padre al telefono. “Secondo me hai solo un po’ di stanchezza. Tutti i rapporti sono così Vale. Non ti puoi aspettare di avere le stesse emozioni che provavi quando vi siete conosciuti!” le dicevano la amiche fidate. “Datti tempo, fatti un amante. Ma niente di serio, mi raccomando. Poi torna da lui e vedrai che apprezzerai ancora di più il sentimento che vi lega” leggeva sui giornali.

Eppure, pur nella paura soffocante che le avvolgeva come un panno intriso di cherosene il cuore, Valentina sentiva che questa volta lei doveva rischiare. “Adesso o mai più”,  sentiva rimbombare dentro di sé. Ed era vero. Solo lei sapeva infatti che se non avesse lasciato ora M. sarebbe rimasta con lui per sempre. Perché l’essere umano è così. Cerca sicurezza e compagnia: nella religione, negli amici, nei partiti, nei mercati di quartiere… Partire? Andare lontano? Non omologarsi? MA TU SEI PAZZA!

“Quella non crede nel matrimonio! E’ senza morale!”, questa era il bisbiglio che aveva udito, suo malgrado, il giorno stesso in cui aveva lasciato il posto di lavoro.

Tuttavia, bisognava riconoscere che M. l’aveva sempre assecondata nella sua “amoralità”. E lei lo aveva amato proprio per questo. Perché lui era diverso, lui andava oltre e l’aveva saputa curare. L’aveva seguita, dedicandosi con pazienza e devozione, asciugando le sue lacrime e riversandole calore nel cuore.

E adesso allora, cosa le stava succedendo?

Onestamente… Valentina non lo sapeva spiegare! La sua prospettiva però era cambiata. Lei stava sì osservando il mondo, ma a testa in giù.

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Thinking of you

di Gaia Nina Marano

“Vorrei che questo lo tenessi tu”

Valentina non aveva nemmeno risposto. Al collo già indossava la catenina che lui le aveva regalato.

Mentre camminava per la strada ripensava a quello che era successo. Le sue labbra ancora bruciavano per i baci che si erano dati, i capelli le ricadevano sul viso, il collo ancora aveva il suo odore.

Dopo quel primo incontro al caffè ce ne era stato un altro, un altro e un altro ancora, fino a quando il vedersi non diventò l’abitudine e il non l’eccezione.

Marco latitava e lei taceva. Lo aveva sentito per telefono l’altro giorno, ma come poteva dirgli una cosa del genere? E comunque sapeva che avrebbe dovuto farlo prima o poi, ma fino ad ora non aveva trovato le parole. Come si fa a spiegare che ciò che credevamo amore, ciò che abbiamo convinto glia altri fosse vero, in realtà era soltanto un anestetico il cui effetto era finito?

Valentina era più che preoccupata amareggiata per quell’onda di verità che avrebbe travolto una realtà all’apparenza serena, ma che oramai da troppo tempo si stava reggendo su sostegni di carta. I loro cuori non si erano sincronizzati. O se lo erano stati ora soffrivano di uno sfasamento che, per quanto impercettibile all’occhi umano, continuava a scavare un buco nero nel suo petto.

E poi era arrivato lui. Con le sua mani e i suoi occhi. Che la guardava e che la faceva sentire quella che si era dimenticata di essere. Valentina arrossiva, si copriva il volto con le mani e spiava tra le dita, per essere certa che lui non se ne fosse andato e che ancora stesse lì a fissarla.

Quel pomeriggio lei, proprio lei, che non credeva più all’amore aveva sentito una fitta allo stomaco e per la prima volta dopo tanti anni aveva provato quell’emozione che credeva dispersa nella sua memoria di bambina.

La musica continuava a gridarle nelle orecchie, la gente passando la spingeva e lei lì, ferma immobile a quel semaforo, con la luce verde che l’aveva ipnotizzata. Quella sera non aveva voglia di tornare a casa, voleva rimanere fuori a respirare l’aria fresca pensando alla loro storia.

 

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Amo qualcun altro

Chi aveva scritto: l’amore è un apostrofo rosa tra le parole “ti amo”? Valentina stava percorrendo per l’ennesima volta la strada avvolta dal metallo del tram, che da un po’ di mesi era diventato la sua trappola d’amore. Amore per qualcuno che continuava a sorriderle e che per l’ennesima volta era sceso, l’aveva abbracciata distrattamente e poi lasciata sul marciapiede con il cuore graffiato stretto fra le mani. Oggi era San Valentino. Si era pettinata i capelli con cura, cosparsa il corpo di creme profumate, aveva truccato gli occhi con l’ombretto grigio, indossato il cappottino nero e gli stivaletti con il tacco. Tutto il possibile per essere perfetta in quei cinque minuti di viaggio insieme. Ma niente era successo, niente stava succedendo e niente sarebbe mai stato. Come sempre, camminando soffocava un singhiozzo di delusione, cercando di spingerlo il più in basso possibile, cosicché non potesse uscirle dalla bocca.

“Allora… Prendo un succo alla pesca, un tramezzino cotto e formaggio e… un cappuccino, grazie”.

Sfogliava annoiata le pagine del libro Valentina, alternando un morso ad un sorso.

“Non credo che il cappuccino ti aiuti a studiare…”

Lei alza la testa. Due occhi scuri lentamente si stavano avvicinando, “Che cosa stai leggendo?”

“Sto solo cercando di…” Strano, non le venivano le parole. Era paralizzata da quelle mani bellissime che rapidamente pulivano via le briciole. “Ecco… Sto cercando di leggere degli articoli… per la mia classe…” Sembrava quasi che oltre al tavolo le stesse dando una pulitina anche al cuore. Ma c’era così tanta polvere che quasi si sentiva soffocare.

“Bene, sono contento che tu sia qui. Continua a leggere, non volevo distrarti. Solo che eri buffa mentre bevevi il cappuccino… Ora ti porto un caffè, vedrai che così riuscirai a lavorare meglio!”

“Ok, sei molto gentile. E comunque io sono Valentina”.

“Buon San Valentino Valentina!” aveva risposto da dietro il bancone, continuando a fissarla, come se già avesse capito chi era.

Valentina si gira verso lo specchio appeso alla parete. Controlla di essere veramente lì.

Arrivata a casa apre il quaderno e scrive: “Che strana sensazione. Pensare di essere presa da lui, soffrire per l’amore lontano e, allo stesso tempo, desiderare di rivedere qualcuno che non conosci, non sai chi è, ma che ti ha reso la giornata speciale… Oggi ho ritrovato il mio apostrofo rosa: era disperso tra le parole qualcun altro!”.

 

Foto: Gaia Nina Marano.

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Sono piccoli problemi di cuore / BLOG UNA STANZA TUTTA PER SÉ

di Gaia Nina Marano

Il fatto è che in fondo siamo come animali. Ci possiamo abituare a tutto. Il freddo, la fame, il sonno, la paura, la gioia… Sono tutte sensazioni che vanno e vengono, turbano le nostre membra, senza però trapassare il cuore. Eppure c’è qualcosa da cui il nostro istinto animalesco non potrà mai proteggerci… E noi continueremo sempre a cascarci, con tutte le scarpe.

Come il cappotto che lunedì Valentina indossava mentre aspettava il tram sotto la pioggia. Abbandonato di fretta sullo stendi panni dell’ingresso, pesante e impregnato di acqua gelida, continuava a gocciolare sul pavimento. A quel cappotto non importava davvero di essere tornato a casa, sano e salvo dal diluvio universale. Lui continuava a piangere dalle sue maniche infeltrite, compiacendosi della immensa pozza di tristezza che lentamente si stava spargendo a terra.

“Mannaggia… Guarda che disastro, mi tocca asciugare tutto adesso”. Valentina mette un panno bianco sotto lo stendino. Accende il computer e una sigaretta. Apre l’email e scrive: “Mi sembra di essere ritornata al liceo. In quell’epoca delle cose non dette, delle emozioni intrappolate dentro, delle paure e del silenzio… Solo che durante l’adolescenza il tutto era condito anche da una discreta dose di incoscienza, che permetteva di vivere la giornata senza paura, di alzarsi con il sorriso anche se la notte ci si era addormentati tristi. Perché quello che succedeva il giorno prima si dimenticava quello dopo. Adesso invece ho le stesse sensazioni e il triplo della paura. Ma una paura tale da rimanere inchiodata alla sedia, senza poter reagire. Sto seguendo questo corso d’arte, lo sai. L’ho sempre voluto fare. E nonostante la fatica mi sta piacendo tantissimo. Ho iniziato così, senza farmi domande, concentrata solo su me stessa, senza guardarmi attorno, perché l’unico soggetto che volevo mettere a fuoco ero io. Poi piano piano mi sono sciolta, ho incontrato nuove persone e mi sono anche fatta degli amici. In particolare un amico… La verità è che tutto è iniziato come una amicizia, e ancora adesso per lui è così. Ci incontriamo la mattina, scambiamo due chiacchere, ridiamo e scherziamo. Poi ognuno si siede al proprio posto. Non ci vediamo più se non a fine giornata, quando i corsi finiscono e si fa ora di tornare a casa… E io non vedo l’ora di scappare su quel tram con lui. Sì, mi piace, mi piace tantissimo. Mi piace il suo sorriso, i suoi occhi, mi piace quello che dice, la sua voce, mi piace la sua pelle, quel giacchetto blu che indossa. Che dire, mi piace. Non lo avevo capito prima di oggi. Poi mentre tornavo a casa mi è venuto da piangere, perché sapevo che domani non avremmo avuto lezione e quindi non lo avrei visto. Mi è mancata l’aria, ho iniziato a sudare. Avrei voluto trovare un suo messaggio sul telefono, ma non c’era. Perché io per lui non sono nulla, se non una compagna di corso. Niente di più. Mentre per me le cose sono cambiate… Come sia successo io non lo so. Te lo avrei voluto dire prima, ma non sapevo come. Di fatto non c’è niente di cui parlare, è tutto una fantasia. Ma quando l’altra notte ho sognato che mi prendeva fra le sue braccia e mi baciava… Lì ho capito che forse qualcosa c’era, anche se solo da parte mia.”

Suona il telefono. Valentina allunga il braccio e risponde tenendo la sigaretta stretta fra le labbra.

“Mamma sei tu… Ninte, non facevo niente, stavo solo buttando delle cose vecchie!”

Clicca con il mouse sulla pagina, incespica con la freccia e poi preme “delete”.

“Eccomi, sono tutta tua. Allora, come va?”

Nel frattempo apre il suo quaderno e scrive con la penna rossa in maiuscolo: SCRIVERE A MARCO.

 

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Fa male come ieri

di Gaia Nina Marano

Quella notte Valentina non poteva prendere sonno. Non era stato il cinema, né l’aria pungente tipica delle serate autunnali. Non era stato nemmeno il discorso su Marco a turbarla, a quello ci avrebbe pensato più avanti. Il fatto è che le stava ancora tremando la mano mentre la stanza era irradiata dalla bianca luce dello schermo del suo cellulare. Sullo sfondo del suo cuore si erano incise le parole di quell’ennesimo messaggio: “Avevo deciso di non sentirti più.. E invece non ci sono riuscito nemmeno questa volta. Ho fatto un sogno terribile, tu eri morta. E il dolore è stato così grande da svegliarmi. E ti sono venuto a cercare… Dimmi che ci sei e che stai bene, ho bisogno solo di saperlo, L.”.

Ancora una volta una valanga di emozioni la stava schiacciando, cosa significava quel messaggio e perché stava lì impietrita, non riuscendo più a chiudere occhio. Valentina non voleva semplicemente rispondere che era viva, che sì, non le era capitato niente di male. Lei aveva voglia di parlare con lui, in quel momento avrebbe voluto essere dotata del teletrasporto per raggiungerlo, abbracciarlo e dirgli tutto quello che sentiva dentro e che ora la stava facendo soffocare. Leggi il seguito di questo post »

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C’era una volta una bimba curiosa

di Gaia Nina Marano

Una volta Valentina, quando era piccola, si faceva tante domande.

Guardava la vita e cercava di capire come funzionasse: cosa faceva muovere quello e cosa faceva saltare quell’altro, cosa faceva bene e cosa faceva male. Ricorda che andava al cinema la domenica pomeriggio a vedere i film di Aldo, Giovanni e Giacomo. Erano quei film che avevano il potere di consolare anche il più triste pomeriggio invernale. Tutti nella sala ridevano, tutti tranne lei. Valentina sentiva quel rumore gioioso e si interrogava su come fosse possibile farlo.

Non le veniva naturale, si doveva sforzare. Aveva però imparato diversi tipi ti risata “finta”: urlata, strisciata, timida, prepotente. Poteva utilizzare quella che voleva lei, perché ridere andava a comando. Poi, un giorno, accadde qualcosa di veramente buffo per strada. Non ricorda nemmeno più lei cosa, ma una sana risata le sgorgò con naturalezza dalla gola.

“Io non voglio più farmi domande, non ho tempo, non ne voglio sapere… Ecco sì guarda, preferisco non sapere!” Leggi il seguito di questo post »

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La posta del cuore

di Gaia Nina Marano

Valentina piega la maglia azzurra, quella con su scritto “ITALIA”… la ripone nel cassetto sotto la specchiera insieme a tutte le altre magliette estive ed accende il computer. L’Italia aveva perso l’incontro per le qualificazioni europee e la malinconia stava salendo. Si era ritrovata in un pub sotto casa con altri italiani emigrati e nostalgici. Aveva bevuto una birra che l’aveva gonfiata, mangiato arachidi da una ciotolina sporca e sulla guancia destra si era disegnata un cuore verde bianco e rosso che ora stava cominciando a sbiadirsi. Per i primi dieci minuti di partita era stata euforica, parlava e cantava, rideva e scherzava. Poi era scivolata fuori dal locale, trascinandosi lungo la grande via asfaltata che la conduceva a casa.

“Radio Italia solo musica italiaaaanaaa… Ed ora un classico di Gino Paoli: Una lunga storia d’amore, buona serata a tutti gli ascoltatori…” Leggi il seguito di questo post »

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Come a Bollywood

di Gaia Nina Marano

Valentina non ha voglia di alzarsi oggi. E’ quasi estate eppure il caldo tarda ad arrivare, il cielo è coperto, la finestra mezza aperta ed entra un bel venticello… Si rigira su se stessa, le coperte ammassate, i capelli stropicciati e una musichetta lontana proveniente dal piano di sotto.

Vuole dedicarsi un po’ di tempo, una mattinata per pensare, un piccolo spazio per ricordare.

Oggi è sola nel letto nuovo, la città che la aspetta, l’amore lontano in Italia. Il viaggio sembrava essere iniziato bene, solo il fuso continuava ad intromettersi. Eppure, non si sa perché, Valentina stava pensando al suo primo amore, quello nato tra i banchi di scuola e finito davanti le vetrine di un supermercato di periferia. Ricorda di aver chiesto a suo padre di accompagnarla in un posto “Cosa devi fare?”, aveva detto lui, “Niente, devo lasciare il mio ragazzo. Non ho tempo per lui. Troppi compiti e il saggio di danza!”, “Ah, perfetto, ti accompagno io”. Leggi il seguito di questo post »

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