WOMAN's JOURNAL

Per voce creativa: Giovanna Lacedra intervista Paola Mineo /Blog Woman’s art

“PER VOCE CREATIVA” è un ciclo di interviste riservate – e dedicate – alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa settima intervista, Giovanna Lacedra incontra Paola Mineo (Legnano, 1978).

Il tatto è tutto. È scoperta e contatto.

Toccare è portare a memoria la traccia dell’altro. È coglierne la forma, solcandone i vuoti. Toccare è sentire. È sondare. È indagare. È  perlustrare, nel silenzio, l’imperfetto divenire.

Toccare è esercizio della creazione, per Paola Mineo, che al Politecnico di Milano studia per diventare architetto, ma che presto comprende quali siano in verità le forme che maggiormente la seducono: quelle del corpo umano. È l’uomo che le interessa, non ciò che questo costruisce. È pelle che vuole, non cemento.

L’esperienza svolta presso il Politecnico di Atene, durante la preparazione della sua tesi, la rende ineluttabilmente consapevole di ciò. Catturata dal plasticismo della statuaria classica e dai giochi volumetrici e chiaroscurali delle anatomie,  scopre la sua innata attitudine per la scultura. Ma non per una scultura che si fa levando, a colpi di scalpello, bensì per quella che si fa plasmando, in una muta danza delle dita. E soprattutto, Paola incontra l’estetica del frammento. Di quel frammento archeologico rinvenuto, custodito e impreziosito da ciò che manca. E decide di riattualizzarla, per dar forma alla lacunosa frammentarietà della memoria umana.

Una memoria fatta a brandelli.

Fortemente sedotta dai resti dei bassorilievi del Partenone di Fidia, Paola Mineo inizia ad elaborare un nuovo linguaggio scultoreo, frammentario, ma più vivo e dinamico. E decisamente più empatico: la Touch Art. Così lei stessa battezza il suo nuovo modo di fare scultura. Un’operazione performativa, in cui l’atto creativo avviene sotto gli occhi dello spettatore e per presa diretta sul soggetto ritratto.

Touch Art: l’Arte di Toccare.

Tatto-contatto-atto-artefatto. Un passaggio rapido e vivo.

Paola prende a realizzare i calchi sui suoi modelli direttamente nello spazio espositivo. La pelle nuda viene ricoperta d’olio, di resina, di garze e di gesso. Un’operazione suggestiva, in cui l’artista avanza guidata dalla sue stesse mani. E ciò che resta dell’individuo è il bianco usbergo della sua stessa verità.

Tra le prime opere della Mineo troviamo frammenti i cui titoli rendono inequivocabile la radice ispirativa: “Doriforo” del 2005 è il calco derivante dal torso di un uomo, e già la didascalia particolarizza la genesi dell’opera: “ragazzo, garza, gesso, empatia su pannello”. Ingredienti piuttosto originali per una tecnica mista che parte dalla viva carne, da un’epidermide vibrante, e ad essa ruba la traccia: ciò che resta del contatto diretto.

Le  sue mani toccano. E prendono  – dalla carne e dalle ossa – un frammento di identità.

Touch Art. Frammenti. Dalla pelle alla scultura.

Ecco la voce creativa di Paola:

G.:  Descrivimi la Donna che sei:

P.: Sono una Donna, quindi accogliente, empatica ed intuitiva: caratteristiche che ho dovuto imparare a gestire con equilibrio per renderle più positive che negative, spero l’età mi aiuti.  Ho scoperto di essere resilente, e mi piace!

 

G.:  Cos’è una Donna secondo te?

P.: Un luogo davvero infinito di punti (soprattutto risorse).

Paola Mineo

G.:  Come vedi collocata la donna nella società contemporanea?

P.: Ti sto rispondendo dall’Italia: ci sono ancora molte battaglie da vincere, però credo fermamente che dovremmo rimetterci la gonna! Essere pari agli uomini non significa essere uguali: questo errore ha disequilibrato notevolmente i legami relazionali, quindi sociali e professionali.  Ma io sono nata nel 1978 e non so cosa avrei fatto se mi fosse stato negato ciò che per me oggi è normale!  Se ti rispondessi da alcune parti del mondo o semplicemente da contesti sociali diversi dal mio… lotterei selvaggiamente nuda con in mano un macete!

 

G.:  Come definiresti il ruolo dell’Artista-Donna nel corso della storia dell’arte e nel contemporaneo?

P.: Che dire, purtroppo trovo sia un ruolo piuttosto marginale, ma dai tempi della mia eroina storica Frida (Kahlo) a quelli dell’altra più contemporanea Marina (Abramovic) ci sono stati molti cambiamenti. E’ che si procede davvero con lentezza…e la pazienza non è la miglior caratteristica di noi donne!

 

G.:  Qual è il dovere di un’artista-donna nella società contemporanea?

P.: Lo stesso di un uomo. Un artista deve raccontare se stesso con estrema lealtà, deve avere il coraggio di raccontare il periodo storico in cui vive e soprattutto deve sentirsi la forte responsabilità di creare delle emozioni.

G.:  E, più in generale, come vedi collocata l’arte nella società contemporanea?

P.: Io ho molta fiducia! Le persone stanno imparando a conoscere e ad approfondire un po’ di più. Ti faccio ridere: prima il vino, poi il cioccolato, poi un e-Book e i bambini sempre più presenti alle attività creative dei musei… Io dico che piano piano ci arriviamo! L’arte contemporanea usa ancora parole molto criptate perché possano entrare nel lessico comune. Certo, se noi artisti diminuissimo la distanza focale tra l’opera e l’osservatore, sarebbe tutto più facile. Nella odierna società, l’arte dovrebbe avere un ruolo educativo nel suo etimologico significato di educère, nonchè tirare fuori ciò che sta dentro. Per quanto riguarda il sistema culturale e il settore vero e proprio…mi auguro davvero si rimetta un po’ di ordine almeno nelle figure che ruotano intorno a noi artisti.

G.:  Oh, me lo auguro anch’io sommessamente. Ma dimmi piuttosto… per quale ragione una donna come te diventa un’Artista:

P.: Per vocazione! Sì, per me è stata proprio una vocazione! Una voce, che non ho ascoltato per molto tempo. Liceo artistico o scientifico? Accademia a Brera o Architettura al Politecnico? Project manager in una società di contract o Artista? Ecco all’ultima chiamata ho finalmente risposto seguendo la ragione del cuore. La mia ricerca era iniziata già da anni, ma ho spiegato le ali senza remore nel 2010. Ci ho messo due anni per smettere di pensare da Architetto e cominciare a pensare da Artista: ma ce l’ho fatta!  È come in uno sport: ci sono tanti livelli per praticarlo, e si può essere molto bravi e appassionati, ma se si decide di farne una professione…beh allora è tutta un’altra storia! Oggi mi sento davvero pronta a gareggiare (conoscendomi sarà sempre un nuovo inizio).

 

G.:  La tua formazione?

P.: Come ho già detto, sono un’artista autodidatta. Diciamo che il mio matrimonio con l’Architettura è finito con una separazione consensuale; è comunque un grande amore, ma ha preso un’altra forma (però sono un po’snob e non mi è mai piaciuto sentirmi chiamare Architetto!).

 

G.:  Cosa osservi del mondo, e cosa di ciò che osservi diventa materiale da plasmare con la tua creatività?

P.: Osservo le persone, e la grande difficoltà che hanno nel guardarsi dentro. Plasmo direttamente i loro corpi, creando un sottilissimo guscio di gesso nel tentativo di restituire loro una nuova immagine di sé. Lo faccio anche con me stessa e racconto, come ogni artista, i temi della mia biografia.

 

G.:  Quali sono gli argomenti della tua ricerca artistica?

P.: Ultimamente ho una predilezione verso ciò che è estremo (come condizione sociale) o alla soglia del patologico (come condizione mentale): è la Paola performer che urla in questo momento dopo che per tanti anni ha lasciato credere a tutti che fosse più una scultrice.

 

G.:  Quale tecnica adoperi? Quale supporto?

P.: Se ti rispondessi che il mio supporto è la pelle e la mia tecnica è il tocco? E’ il modo migliore per descrivertelo, perché in molti casi oggi il calco (che è sempre stato l’oggetto scultoreo) diventa solo un mezzo attraverso il quale tocco con mano ciò che voglio raccontare.

 

Paola Mineo in azione – Touch Art

 

G.: Quale reazione desideri abbiano i fruitori del tuo lavoro?

P.: Io desidero che vedano la bellezza anche nella drammaticità di alcuni temi difficili che tratto. Desidero che si specchino nei miei lavori interpretandoli a modo proprio. Desidero che la smettano di “sforzarsi di capire” e che semplicemente si vivano il mio gesto performativo: su di sé o vedendolo sugli altri ma partecipando sempre. Desidero terribilmente che tocchino le mie opere!

 

G.:  Come nasce un tuo lavoro, step by step ?

P.: Dipende: quando lavoro su commissione il mio lavoro sì puo’ intendere come pura ritrattistica con tempi e procedure ben definite. Quando invece produco una mia idea, elaboro un mio progetto, come nel caso dell’installazione “Sudario”, di cui ti parlerò,  i tempi sono quelli del mio cervello: io sono solo una sua dipendente. Per quel lavoro infatti il primo esperimento risale al  novembre 2011, mentre l’opera è stata conclusa dopo un anno. Parto da uno schizzo o una fotografia. Qualcosa che, come un incipit,  rimane per mesi sotto i miei occhi in atelier, fino a quando poi capisco e “vedo” tutto. Poi, tra pensiero e azione ci sono molti altri passaggi. Sempre per qesto progetto, infatti, nel novembre 2012 ho chiesto all’artista Francesca Fini (la Maestra) di performare per me e  curare la fotografia del video performativo. Mentre realizzo un mio lavoro io so bene quello che voglio dire, ma il modo per “dirlo” lo scopro facendo, sperimentando e soprattutto, non lavorando necessariamente sola. Le collaborazioni sono importanti per me. Io non sono l’unico genitore di un mio lavoro.

G.: Quali sono i tuoi riferimenti storici? Quali artisti o correnti hanno in qualche modo contaminato e influenzato il tuo lavoro?

P.: Sono follemente innamorata degli scultori della storia: Policleto e Fidia (ho studiato e vissuto ad Atene) Canova e Bernini e potrei andare avanti. Poi c’è Salvador Dalì, che mi ha iniziato all’andare oltre il visibile per setacciare l’inconscio. Certo, guardando ora il mio lavoro ti direi che c’è molto di George Segal o Igor Mitoraj, ma la verità è che li ho conosciuti col tempo. Ho avuto la fortuna di relazionarmi con persone che mi hanno influenzata: Helidon Xhixha, che stimo incredibilmente per l’energia che trasuda dalle sue opere! Prossimamente andrò a trovare in studio Marco Gastini…amo moltissimo il suo lavoro! Quest’anno poi ho incontrato una donna straordinaria, palinsesto della storia dell’arte italiana; è stato un confronto di quelli che ti cambiano la vita e ti illuminano, come quello con Davide Quadrio nel 2010 che mi diede molti consigli preziosi.

 

G.: Ad ispirarti ci sono anche letture particolari? Autori, poeti, filosofi, musicisti… che riescono a suggerirti qualcosa per il tuo lavoro?

P.: Einaudi accompagna molto spesso il mio lavoro manuale,  Ryuichi Sakamoto quello scritto. Paolo Fresu…c’è quando penso. Leggo poco per svagarmi, lo faccio per studiare, e negli ultimi anni sto cercando di approfondire soprattutto gli aspetti psicologici del mio lavoro; ma sono disordinata e discontinua, quindi credo che mi regalerò una specialistica di due anni a Brera (accidenti l’ho scritto veramente?) .

 

G.: Ora scegli 3 delle tue opere per presentarci il tuo lavoro:

1.  Sguscio:

Sguscio, 2011[Stampa lambda su plexiglas nero montato su telaio in legno; pannello scorrevole in plexiglas trasparente con stampa diretta e calco in garze gessate e resina – 155x82x20 cm]

P.: Sgusciare fuori da sé per guardarsi dentro.La garza che utilizzo assorbe l’emozione del momento performativo, il gesso mi permette di immobilizzarla per sempre e la fotografia, nata inizialmente solo come curiosa indagine emotiva, mi dà modo di documentarlo, diventando oggi parte integrante dell’opera. Quindi l’osservatore puo’ far scorrere gli scatti fotografici verso il calco, compiendo un azione che lo rende partecipe di un atto performativo privato già avvenuto.

 

2. Sudario:

Sudario, 2012 [Video (3,40’) installazione di performing art e oggetti performativi misti]

P.: L’installazione racconta attraverso il video di una performance e altri elementi, la morte temporanea e la rinascita di ogni artista che accetta di vivere nella diversità che sente dentro. Il sudario deterge la viscerale fatica di questo percorso. La performance, ripresa in video diventa parte di un’ installazione che racconta il momento successivo alla rinascita. La garza di lino e gesso sottende un respiro ritrovato: l’olio, la polvere e l’acqua (contenuti in 4 cilindri di vetro ai quali corrispondono i suoni dell’audio installazione) la trasformano nel corpo pesante che viene strappato alla vita e depositato in 90 cm cubi di loculo trasparente. Luogo dal quale si sceglie di andare oltre. L’impronta umana, impressa sul tavolo nero e appesa, è testimonianza dell’atto performativo avvenuto. Ciò che resta è la reliquia bidimensionale di un nuovo culto di vita. Quest’opera è il primo vero risultato, dopo due anni di profonda ricerca: sono molto fiera di lei, ha superato la prima selezione del Premio Arte Laguna di quest’anno e a Marzo è stata esposta al MLAC – Museo e Laboratorio di Arte Contemporanea a Roma.

 

3. Esse:

Esse, 2011[Fotografia digitale e opera. Stampa diretta su plexiglass e calco con basamento in ferro – 26x10x30 cm]

P.: Sono molto legata a quest’opera perché è la prima in cui sono riuscita a fare in modo  che il calco e la fotografia si sposassero. Io non sono una fotografa, so scattare solo durante una mia performance…insomma quando si è sporchi di gesso me la cavo, altrimenti sono una frana! Ho iniziato a scattare per indagare: volevo documentare la reazione emotiva di chi si guardava per la prima volta… Inoltre amo quest’opera anche perché è il ritratto di Saverio Palatella,una persona che, nel corso della nostra amicizia, mi ha più volte incoraggiata a non mollare!!

 

G.: L’opera d’arte più “femminile” della storia dell’arte :

P.: Le tre grazie di Antonio Canova, trovo ci sia tutto ciò che riguarda il femminile. Una potente fisicità che accoglie, la dolcezza, la solidarietà di quel peplo che lega i cuori delle amiche, quella morbidezza della carne che consola, la malizia delle posture asimmetriche che seducono… è pazzesca quest’opera!

 

G.: L’opera d’arte che ti fa dire : “questa avrei davvero voluto realizzarla io!”.

P.: Apollo e Dafne, c’era Dio nelle mani del Bernini! Non serve dire altro, solo che mi farei qualche giorno di carcere pur di toccare quell’opera!

 

G.: Work in progress e progetti per il futuro?

P.: E’ ancora work in progress il lavoro fatto un anno fa sulla maternità, durante il quale ho performato con nove donne incinte nel tentativo di raccontare la grande trasformazione femminile che avviene durante quei mesi. Quest’anno è iniziato un importante progetto che porterò avanti per tutto il 2013 con le detenute di un carcere sperimentale; ne parlerò ufficialmente appena avrò le approvazioni necessarie a renderlo pubblico ma se tutto andrà bene verrà raccontato in una mostra. Poi è in corso un lavoro che dichiara la volontà di condannare a morte le dipendenze: ho iniziato con quelle legate al cibo. Mi sto preparando per la mia prossima performance pubblica, dove per la prima volta performerò su di me… Ce la farò? Comincia ad essere davvero doveroso.

 

G.: Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore:

P.: Non mi viene in mente niente in questo momento, se non un mantra che mi ripeto sempre: credici! credici! credici!

 

Per approfondire:

http://www.paolamineo.com/

https://vimeo.com/54354612

 

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One Response

  1. WinArt ha detto:

    Per quel che riguarda l’arte contemporanea al femminile vi segnalo:
    http://www.evelty.com/eventi/86-now-giovani-artitste-italiane

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