“PER VOCE CREATIVA” è un ciclo di interviste riservate – e dedicate – alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa quinta intervista, Giovanna Lacedra incontra Roberta Ubaldi (Terni, 1965).
“L’artista rende visibile quello che l’anima sente.” È questo il principio fondante della ricerca di Roberta Ubaldi. Una ricerca rara e peculiare, che l’ha istantaneamente allontanata dall’uso di supporti tradizionali ed espedienti prevedibili. Per rendere visualizzabile l’invisibile, Roberta ha scelto di adottare il linguaggio della “corrosione”. La corrosione come metafora della vita stessa: del tempo, della memoria, dell’erosione emotiva. O del ricordo rimosso, che riemerge dal calderone dell’inconscio sotto forma di brandello. Un pezzo della propria storia affiorante da una reazione chimica.
Per ottenere questo risultato, l’artista sceglie di schivare la tela, servendosi invece di ferro e ruggine. Pittura ad olio su lamiera ossidata. Una tecnica originale e laboriosa, in cui l’attesa della reazione chimica diviene tempo della meditazione; il tempo in cui lo sguardo pazientemente cerca, tra i grumi e le macchie, gli elementi che la pittura ad olio andrà a definire. Le tracce casuali dell’ossidazione e della calda cromia bruno-rossastra della ruggine, suggeriscono immagini, apparizioni che piano si materializzano in una precisa zona della superficie ferrosa. Superficie trattata, dunque vissuta, e per questo capace di tramutarsi in un reperto menmonico. E i reperti sono sempre anatomici. Più spesso, si tratta di mani. Mani imprendibili appaiono come visioni abilmente plasmate dal caso. La corrosione crea macchie, e come diceva Leonardo; ”…dalle cose confuse l’ingegno si desta a nove invenzioni” (Libro di pittura, f. 35 v, cap. 66) . La tavolozza è calda. La linea, rinascimentale. La cura del dettaglio, accurata, sapientemente sposa la macchia. La ruggine diviene metafora della mutazione. Emblematica traccia di quanto è stato. Testimonianza di ciò che il tempo ha corroso, non logorandone il ricordo visivo. Che resta, come ogni ricordo, definito in certi dettagli, sfilacciato e smembrato in altri.
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