“Io sono legata a te indipendentemente dalla mia volontà, anche se
quando ho promesso a me stessa di vivere per te non sapevo
che sarei stata ferita, ferita, ferita per l’eternità…”
[Sylvia Plath – DIARI – 6 marzo 1956]
La violenza.
Nascosta come un cuore nero in una nuvola d’ovatta.
Un cuore nero pulsante
in una noce di bianca perfezione.
L’Amore.
Quando è un inganno tradisce il sogno.
Lo lacera piano. E poi lo strappa.
Prima a colpi di silenzio. Poi di parole, affilate e taglienti.
Infine, arrivano le mani.
Ma cosa accade se quella noce di porcellana all’improvviso cade,
frantumandosi al suolo?
Silence…
Nessuno deve sapere.
Si tace nella gioia.
Si tace nel dolore.
Si tace il dolore
di non aver mai vissuto.
Alle privatissime pagine dei suoi diari, Sylvia Plath – poetessa americana del filone Confessional – confidava il timore di cadere nella trappola di una unione matrimoniale che, attraverso l’adempimento passivo ad un ruolo servile, avrebbe potuto costarle il caro prezzo delle proprie velleità, della propria identità e della propria dignità.
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