WOMAN's JOURNAL

“Non devi sposare un principe per essere una principessa”

È la risposta di Emma Watson, attrice e ambasciatrice Onu della campagna contro la violenza alle donne “Lui per lei (He for She)” al giornalista che le chiedeva se stava uscendo con il principe inglese Harry. Prima dice, come riporta il suo account twitter, di non credere a tutto quello che scrive la stampa, e poi aggiunge “Inoltre….non devi sposare un principe per essere una principessa”.

— Emma Watson (@EmWatson) February 22, 2015

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Perché anche Kate Middleton ha i capelli bianchi (e non c’è da preoccuparsi)

Chi non ha i capelli bianchi a trent’anni? Difficile scampare. Le nostre madri potevano permettersi di cominciare a quaranta o cinquant’anni a tingersi i capelli, a molte di noi, tocca molto prima. Ma non è una scelta obbligata, una condanna. Se non si vuole che diventi tale basta fare la scelta di non tingersi. E ci sono buone ragioni, la prima, forse la più importante, che una volta iniziato sarà difficile smettere, perché si vedrà la ricrescita e toccherà continuare a tingersi all’infinito, con grande spreco di tempo (che oggi è più che mai ridotto e già dedicato a cerette e trucco quasi quotidiani) oltre che di soldi. Ultima ad essere apparsa con qualche ciocca bianca in pubblico è la duchessa di Cambridge Kate Middleton come ha mostrato il Daily Mail.

Se alcuni giornali italiani hanno riportato la notizia concentrandosi sul fatto che “omiodiohaicapellibianchi” e deve quindi correre in fretta ai ripari perché è “antiestetico” (Il Giornale e Lettera43 che oggi su Facebook linkava a questo post), il Daily Mail (che oltretutto non si vergogna di essere un giornale frivolo) ci spiega le ragioni del perché ciò accada: stress, vivere in città inquinate e fare vacanze in luoghi soleggiati. Infatti alcuni studi hanno dimostrato che i raggi ultravioletti e l’inquinamento sono associati alla produzione di radicali liberi, che secondo alcuni distruggono la melanina, responsabile della colorazione dei capelli. Poi c’è la genetica che fa la sua parte e una grossa componente sembra giocarla lo stress e il ruolo della vitamina B.

Sicuramente più interessante che ricordarci che al primo capello bianco, urge andare a comprare una tinta anche fai da te, purché copra.

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La bellezza è un handicap

Prossima settimana su Rai 1 inizia la fiction su Oriana Fallaci. Ho più di un dubbio sulla scelta della Puccini. Oriana era tutto fuorché sexy e aggraziata, Puccini è troppo bella per ricoprire quel ruolo. La bravura della Fallaci giornalista e inviata rischia di passare in secondo piano ed è quello che andrebbe proprio evitato. La Fallaci è una dei pochi esempi di giornaliste che hanno lavorato raggiungendo altissimi livelli. Lei era brava, stop. Combattiva, stop. Per niente aggraziata, stop. Non flirtava con i potenti, era cattiva e scomoda e la cosa le piaceva, semplicemente era fatta così. Non si è fatta piegare dalle convenzinoni e da un mondo infinitamente più maschile e maschilista di oggi. Non deve essere stato facile.

E allora perché passare sopra tutta la sua storia scegliendo una protagonista che la impersona bellissima? Forse perché la fiction si basa sul libro Un uomo (di cui sono stati comprati i diritti ) dove si racconta una delle più importanti relazioni della Fallaci. Il giornalismo quindi in questa storia diventa più una scusa.

La bellezza è un handicap quando si fa un lavoro intellettuale, deconcentra l’interlocutore, può confondere. È un handicap che talvolta sembra un vantaggio ma rimare un handicap. In tv ormai abbiamo solo giornaliste belle. Sono prese per la loro bellezza e non bravura, devono far vedere le gambe per attirare l’attenzione, le loro idee di riflesso, sono spesso scialbe. Mentre, siamo pieni di giornalisti televisivi uomini brutti. Per le donne c’è uno standard più alto, e crudele. Anche alla Fallaci è stato applicato post mortem questo standard trasmettendo un messaggio così svilente e banale a tutte le ragazzine che la tv la guardano con occhi e sicurezze e consapevolezze che non sono quelli dei grandi.

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Nadoona: salute e ginnastica per le donne musulmane

di Luisa Perona

La parola “dieta” spesso rimanda a sacrifici e rinunce. Tutti, o meglio tutte, sappiamo quanto costi perdere peso e quanto sia importante essere aiutati, almeno moralmente, da chi ci sta vicino.

Nadine Abu Jubara ha provato sulla propria pelle cosa significhi farcela da sola. La storia di Jubara, una ragazza musulmana di origini palestinesi che vive in Florida, è stata raccolta da Radio Free Europe. Anni fa, Jubara decise che era arrivato il momento di tornare in forma, di pensare in primis alla salute trovando, però, pochi alleati nella comunità musulmana dove viveva.

Tuttavia pensò di potercela fare comunque. Iniziò un periodo scandito da frequenti “no” alle varie feste in cui si banchettava a piatti profumatissimi e dolci mediorientali golosissimi; fino a quando, dopo che ebbe perso ben trenta chili, cominciarono ad arrivare le reazioni meravigliate delle stesse persone che avevano visto con scetticismo la sua scelta.

In seguito Jubara ha deciso di creare un sito web che ha chiamato Nadoona per aiutare le donne musulmane a prendersi cura di sé, del proprio corpo e soprattutto della propria salute, realizzando che raramente queste hanno modo di farlo. Leggi il seguito di questo post »

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“L’ASPIRANTE” una performance di Giovanna Lacedra. In novembre, a Cesena.

 

“Io sono legata a te indipendentemente dalla mia volontà, anche se

quando ho promesso a me stessa di vivere per te non sapevo

 che sarei stata ferita, ferita, ferita per l’eternità…”

 

[Sylvia Plath – DIARI – 6 marzo 1956]

 

La violenza.

Nascosta come un cuore nero in una nuvola d’ovatta.
Un cuore nero pulsante
in una noce di bianca perfezione.
L’Amore.

Quando è un inganno tradisce il sogno.

Lo lacera piano. E poi lo strappa.

Prima a colpi di silenzio. Poi di parole, affilate e taglienti.

Infine, arrivano le mani.

Ma cosa accade se quella noce di porcellana all’improvviso cade,
frantumandosi al suolo?

Silence…
Nessuno deve sapere.
Si tace nella gioia.
Si tace nel dolore.
Si tace il dolore
di non aver mai vissuto.

 

Alle privatissime pagine dei suoi diari, Sylvia Plath – poetessa americana del filone Confessional – confidava il timore di cadere nella trappola di una unione matrimoniale che, attraverso l’adempimento passivo ad un ruolo servile, avrebbe potuto costarle il caro prezzo delle proprie velleità, della propria identità e della propria dignità.

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Un video contro la violenza di genere, la campagna presentata al parlamento Ue

 

Il 16 ottobre scorso è stata lanciata presso il Parlamento Europeo una campagna contro la violenza sulle donne e l’impunità di chi la commette. La campagna, intitolata Highlighting the phenomenon of Feminicides in Europe and Latin America, è promossa da Cifca e Grupo Sur, due reti di associazioni impegnate nella tutela dei diritti umani, e dalla fondazione Heinrich-Böll-Stiftung.

L’obiettivo della campagna è fornire ad associazioni europee e latino-americane strumenti di pressione da utilizzare nei confronti dei propri governi per spingerli a iniziative legislative e politiche volte a contrastare il femminicidio e la violenza di genere.

La campagna è stata inaugurata con un video a cui hanno partecipato cittadini, parlamentari europei e rappresentanti di istituzioni come Dagmar Schumacher, direttrice dello UN Women Brussels Liaison Office, e delle associazioni come Cécile Gréboval, segretaria generale della European Women’s Lobby, e Gustavo Hernández, della Asociación Latinoamericana de Desarrollo (Alop).

L’iniziativa è appoggiata da Amnesty International, Alop, Aprodev e Oidhaco.

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Game in progress: Uno show flash sulla violenza di genere. A Milano / blog Woman’s Art

AMY D Arte Spazio  presenta GAME in progress 
12 sept_14 sept 2013,  opening 12 settembre ore 18.30

Lenuta Lazar, Antonella Riotino, Antonia Azzolini, Edyte Kozakiewiez, Fabiola Speranza, Grazyna Tarkauska, Lvath Eward, Nike Adekumie, Brunella Cock, Gabriella Falzini, immigrata di colore, 25 anni (08/02/2012). Le cronache non riportano neppure il nome. La lista dei femminicidi, vera sclerosi culturale, è lunghissima suddivisa non equamente tra i vari Stati.

La violenza avrà mai fine? 

È con questo interrogativo che è nato GAME in progress, specializzazione (i programmatori di videogiochi lo chiamerebbero sviluppo) del progetto THE GAME business and manipulation inaugurato il 26 giugno scorso.
Questo show flash, a seconda dei vari artisti, diventa opera poetica con la performance di Giò Lacedra – L’Aspirante – omaggio a Sylvia Plath e la partecipazione straordinaria di Roberto Milanio progetto, come “SE tu Fossi Me” di Maria Sara Cetraro e Serena Giardino, finalista nell’ambito del contest nazionale “No Violenza Donne” indetto dall’AIED in collaborazione con Cocoon Projects, che consiste nel tradurre in azione quello che Luigi Pirandello definiva sentimento del contrario, riflessione più profonda che scaturisce dall’immedesimazione nell’Altro/a.

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Per voce creativa: Giovanna Lacedra intervista Paola Mineo /Blog Woman’s art

“PER VOCE CREATIVA” è un ciclo di interviste riservate – e dedicate – alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa settima intervista, Giovanna Lacedra incontra Paola Mineo (Legnano, 1978).

Il tatto è tutto. È scoperta e contatto.

Toccare è portare a memoria la traccia dell’altro. È coglierne la forma, solcandone i vuoti. Toccare è sentire. È sondare. È indagare. È  perlustrare, nel silenzio, l’imperfetto divenire.

Toccare è esercizio della creazione, per Paola Mineo, che al Politecnico di Milano studia per diventare architetto, ma che presto comprende quali siano in verità le forme che maggiormente la seducono: quelle del corpo umano. È l’uomo che le interessa, non ciò che questo costruisce. È pelle che vuole, non cemento.

L’esperienza svolta presso il Politecnico di Atene, durante la preparazione della sua tesi, la rende ineluttabilmente consapevole di ciò. Catturata dal plasticismo della statuaria classica e dai giochi volumetrici e chiaroscurali delle anatomie,  scopre la sua innata attitudine per la scultura. Ma non per una scultura che si fa levando, a colpi di scalpello, bensì per quella che si fa plasmando, in una muta danza delle dita. E soprattutto, Paola incontra l’estetica del frammento. Di quel frammento archeologico rinvenuto, custodito e impreziosito da ciò che manca. E decide di riattualizzarla, per dar forma alla lacunosa frammentarietà della memoria umana.

Una memoria fatta a brandelli.

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