WOMAN's JOURNAL

Le madri italiane ai tempi della crisi

Ecco come la crisi porta a galla un circolo vizioso: aggravandolo. Se in Italia le madri sono duramente colpite dall’attuale congiuntura economica è perché esistono problemi strutturali che riguardano più in generale le donne. Lo conferma il rapporto Mamme nella crisi (è possibile scaricarlo da qui) realizzato da Save the Children e presentato il 18 settembre a Roma nel corso dell’omonima conferenza organizzata da Pari o Dispare, Save the Children e Ingenere, alla quale hanno partecipato, tra gli altri, la senatrice Emma Bonino, la ministra Elsa Fornero e la direttrice del dipartimento Statistiche sociali e ambientali dell’Istat Linda Laura Sabbadini.

I dati non sono nuovi, sono una conferma. Procediamo per punti, i punti deboli del sistema.

Nel nostro paese è “normale” che, dopo aver avuto un figlio, una donna lasci il lavoro. L’abbandono non solo aumenta dopo il secondo e il terzo figlio, ma sempre più spesso non è volontario. Se nel 2003 il 2% delle donne che abbandonava l’attività lavorativa dichiarava di essere stato costretto dall’azienda, nel 2009 la percentuale è all’8,7. E, si legge nel rapporto, “il fenomeno dell’interruzione forzata per maternità non è sufficientemente ostacolato dalla normativa italiana”.

Ma quelle che lasciano volontariamente da cosa sono spinte a farlo? La scarsità dei servizi per l’infanzia è un fattore determinante. Il lavoro part time come mezzo per la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, che sembra una soluzione efficace, ha alcune conseguenze negative: si rischia

che le donne siano messe in condizione di ritrovarsi confinate in occupazioni a tempo parziale che sono valutate meno rispetto a un impegno a tempo pieno e che inoltre, dando accesso a redditi più bassi e minori opportunità di carriera, rivestono un carattere accessorio e eventualmente “sacrificabile” rispetto all’occupazione maschile.

Tra il 2005 e il 2010 le lavoratrici part time sono aumentate del 3% quando hanno un figlio, del 5% quando ne hanno tre o più di tre. Il dato negativo è tra le donne di 25-49 anni che lavorano part time il 45,9% non lo fa per scelta (nel 2005 erano il 34,8% e l’attuale media europea è del 23,8%).

Negli ultimi tre anni anche il lavoro precario è notevolmente aumentato, in particolare tra i giovani e in special modo tra le giovani donne. E, come spiega il rapporto, “la precarietà è nemica della fecondità perché mina la sicurezza nel futuro”.

Di che cosa hanno bisogno le donne italiane per poter essere madri e lavoratrici? Di servizi per l’infanzia. E cosa fa il governo per attivare un circolo virtuoso?

Il Piano, varato con la finanziaria 2007, prevedeva un finanziamento statale nel triennio 2007-2009 pari a 446 milioni di euro per l’incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da zero a tre anni, a cui si aggiungevano circa 281 milioni di cofinanziamento locale, per un totale di 727 milioni di euro stanziati. Riconfermato per il 2010 con uno stanziamento di circa 100 milioni di euro, nel 2011 il Piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio-educativi alla prima infanzia è stato azzerato.

Provvedimenti fantasma, quindi, che compaiono e scompaiono senza lasciare traccia. Ma c’è un altro fattore su cui è indispensabile fare leva, è l’equa distribuzione dei carichi familiari tra uomo e donna, e in questo caso qualche legge c’è (per esempio la legge 53 del 2000), è la cultura che va cambiata.

Leggi anche Welfare aziendale: una mano tesa alle donne?, Come rompo l’equazione maternità uguale carriera finita?, Il rapporto Istat sulla conciliazione lavoro famiglia.

Ascolta la conferenza Mamme nella crisi su Radio Radicale.it.

 

Foto: Stock.Xchng

 

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